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Uno scudetto da vincere, le critiche e quello zero in Champions: l'allenatore nerazzurro racconta
"Sogno una squadra a tre punte che vinca e sorprenda. Noi siamo puliti, su Calciopoli è stato fatto poco"
Mancini: "Io, antipatico perché parlo
i potenti te la fanno pagare"
di GIANNI PIVA
Roberto Mancini
MILANO - Tocca a Mancini fare i conti con questo primo scampolo di una stagione senza eguali per il nostro calcio, che obbliga l'Inter a fare ogni giorno qualcosa di speciale, finendo per essere condannata a deludere comunque. Specie se dopo un mese di calcio giocato il rendimento è un viaggio tra momenti esaltanti e inopinati scivoloni, il bottino è un concentrato di chiaroscuri, passando dal secondo posto in campionato agli zero punti in Champions. Un avvio sofferto, non senza contraddizioni, ma il tecnico guarda avanti e coltiva sempre un sogno: fare dell'Inter una squadra che sappia vincere, sorprendere e regalare belle emozioni. "Il mio dovere è provarci".
Mancini, in partenza le cose non sono andate come era logico aspettarsi.
"Di quello che abbiamo fatto in campionato sono contento, non dimenticando quello che ci ha riservato il calendario. Me lo aspettavo difficile e difficile è stato. Avrei firmato per questo punteggio dopo cinque gare. Abbiamo sofferto un po' a Cagliari, ma non per caso".
Altra storia in coppa, due Inter diverse: sconcertante?
"Due battute negative, due sconfitte che hanno anche condizionato il campionato. Entrambe le volte non brillantissimi, ma le sconfitte sono figlie delle espulsioni, che hanno condizionato il risultato. Giocare 30 e 40 minuti in dieci vuol dire fare un regalo agli avversari, e in Champions si paga. Sono sicuro che diversamente sarebbero stati due pareggi, anche se non eravamo al meglio sia a Lisbona che con il Bayern".
Ecco un problema, guardando avanti: espulsioni, ammonizioni a raffica, segno di poca serenità e tenuta nervosa di alcuni?
"Casi diversi: le espulsioni per doppio giallo sono un'altra cosa. Quella di Grosso poteva essere evitata, per non dire di quel è successo a Roma, parlo di Vieira dopo l'espulsione. Indispensabile cambiare registro. Il primo obiettivo deve essere chiudere le gare in undici. Questo vuol dire attenzione nei falli e soprattutto dire qualche parola in meno. Tutti dovrebbero aver capito".
Non solo questo.
"Per rimediare dove non abbiamo fatto bene il lavoro parte da questi dati: Abbiamo preso troppi gol e qualche disattenzione di troppo c'è stata, molte reti erano evitabili. L'anno scorso la difesa funzionava molto bene, quindi un po' di sorpresa c'è stata".
Poi?
"Abbiamo pagato qualcosa all'aver giocato ogni tre giorni con poca possibilità di cambiare chi ne aveva bisogno, per gli infortuni. Ora stiamo recuperando, non ci voleva il nuovo stop di Cambiasso. Sarà importante poter tornare ad una formazione base e all'organico completo. Una emergenza che ha un po' complicato l'inserimento dei nuovi arrivati, e non sono pochi".
Un precampionato con pochissimi test non vi ha aiutato a scegliere come giocare.
"E' stata un'estate condizionata da tante cose: i rientri in ritardo per il mondiale, date in bilico. La verità è che abbiamo compattato il gruppo solo quindici giorni prima del campionato".
Da qui i cambi di modulo in corsa, e una sensazione di idee poco chiare?
"Un po' di aggiustamenti, rispetto ad una certa idea iniziale sono nel conto. Solo in gara si verificano potenzialità, difetti, pregi e attitudini".
E dunque l'uso saltuario del 4-4-2?
"A ben vedere non ci sono stati veri cambiamenti di modulo. Si è parlato molto della posizione di Figo nel rombo. Ma Luis gioca molto da mezzapunta anche col centrocampo in linea. In realtà cambiare 3-4 giocatori quando giochi ogni tre giorni e devi fare i conti con gli infortuni è inevitabile. Una normalità messa in discussione dalle due sconfitte in coppa".
Resta la differenza di rendimento vistosa tra coppa e campionato. Un difetto pesante?
"Forse ha pesato il fatto che negli anni scorsi siamo sempre partiti bene. La prima sconfitta ha spiazzato e complicato le cose creando preoccupazioni inattese. Col Bayern la squadra ha fatto le cose previste, misura nel primo tempo per accelerare nella ripresa. Ma al Bayern non si possono regalare degli uomini..."
Ora dovete fare sul serio. Pronti?
"Io penso che ripartiremo molto bene e faremo un cammino positivo. Questo non vuol dire che vinceremo sempre e che non giocheremo sempre come a Roma o a Firenze per un'ora. Capiterà anche di non vincere ma non dovrà essere un dramma".
L'ottimismo non manca, ma dica: che pagella dà a Mancini allenatore?
"Non credo di aver fatto male. Nei primi due anni è stato avviato un lavoro positivo, ora è arrivato il momento di completarlo al meglio. E' quello che cerco e voglio".
Moratti ha già usato toni crudi con la squadra, ha evitato drammi dopo Cagliari, ma contentissimo non era domenica sera. Dopo questo mese come valuta il suo rapporto con la società?
"Credo che ci sia amarezza per le sconfitte ed è giusto così. E' lo stato d'animo di tutti, perché quando credi in quello che fai è inevitabile che sia così".
Intanto lei ha raccolto critiche di ogni tipo. Non le risparmiano nulla, anche il fatto di non aver cominciato da una panchina di C o di B. Forse all'idea di essere antipatico a molti è abituato, ma il motivo?
"Io credo che decisivo sia il fatto che se c'è da dire qualcosa che va contro le persone che contano, i potenti, io lo dico e l'ho detto. E queste cose prima o poi te le fanno pagare. A questo si aggiunge il fatto di essere all'Inter, e che l'Inter è rimasta fuori da calciopoli è una ragione in più".
Situazione che pesa, che complica vita e lavoro?
"No. Preferisco essere libero, dire quello che penso, piuttosto che adeguarmi ad un certo modo di pensare, a certe convenzioni, al farmi condizionare da altri".
Spirito ribelle: qualcosa che accompagnava Mancini calciatore, che magari si è rivisto in quel gesto di Grosso.
"Certe reazioni in campo, a caldo, non mi preoccupano o colpiscono. So da cosa nascono, mi ci sono trovato più volte quando ero giocatore, anche se poi il giorno dopo mi vergognavo di aver avuto certi atteggiamenti con Boskov. Non sono quelli gesti di ostilità, e non sono cose che complicano il lavoro del tecnico coi giocatori".
Lei guarda al futuro con sicurezza, ma si sta rivelando non semplice dover scegliere in attacco tra giocatori diversi e vistosi come Ibrahimovic, Adriano o Crespo.
"Di attaccanti ce ne sono cinque, in realtà. Ora tornano anche Cruz e Recoba, e ognuno di loro alimenta pensieri, attese, simpatie. Scegliere è inevitabile ma quando le cose non vanno bene la colpa è di quelle scelte e ci sarà sempre clamore per chi non ha giocato".
Mugugni e polemiche certe?
"Diventa decisivo avere giocatori intelligenti che facciano prevalere l'interesse della squadra".
E' questo che deciderà la stagione dell'Inter?
"L'unità d'intenti è qualcosa su cui lavorare. Chi non gioca non sarà mai contento, ma sarà decisivo se sarà pronto quando tocca a lui".
Poi c'è da fare i conti con le pressioni denunciate da lei e Moratti.
"Pressione sull'Inter è normale, non quelle seguite all'evolversi dello scandalo che ha travolto il nostro calcio. Del resto per quel che era successo è stato fatto troppo poco".
Come reagite alle ultime vicende che riguardano l'Inter?
"Non sono condizionato, e credo anche i giocatori. Noi abbiamo il dovere di fare bene il nostro lavoro, stare molto uniti. Alle volte non sarà facile ma qui si misura la nostra forza".
Ma c'è un gioco ideale per la sua Inter dei sogni?
"Giocare con le tre punte sarebbe bello. Per farlo però ci vorrà una squadra molto equilibrata".
Come spiega certe soluzioni che paiono dettate dalla voglia di sorprendere?
"Sono attratto dalla ricerca di qualcosa che sappia dare imprevedibilità alla squadra. Qualcosa che assomiglia all'invenzione del fuoriclasse, che scova il colpo che spiazza, e regala spettacolo. Vale anche per i meccanismi di gioco, per superare monotonia e prevedibilità".
Sfida ardita.
"Io credo che questa sia l'essenza del calcio. Il mio modo di pensare il calcio è legato a questa capacità di inventare e regalare emozioni e sorprendere l'avversario. Se trovi la soluzione hai grandi risultati, vivi e fai vivere grandi emozioni".
Diciamo che a Mancini non piacciono le cose semplici.
"Già, forse per questo sono venuto all'Inter".
Ma un po' di normalità?
"Ci sono momenti in cui sei in difficoltà, come a Cagliari, allora è bene affidarsi a meccanismi più semplici, anche scontati".
Ma...
"La bellezza del calcio è il colpo che sorprende, anche se parlare di questo nel nostro calcio è sempre più difficile. Si è perso il piacere del divertimento, della fantasia e del bel gesto tecnico. C'è solo il risultato. Vinci e sei bravo, come hai vinto non conta".
Il manifesto di Mancini?
"Vincere e stupire. Difficile, forse. Ma il mio dovere con una squadra come l'Inter è provarci".
(9 ottobre 2006)